"E c’era il cielo fuori. grigio, un grigio avvolgente come quando si mette un po’ di nero nel bianco della pittura per muri per evitare che risultino troppo freddi. Joey stringeva le mani nelle tasche dei suoi pantaloni troppo consunti. chiudeva gli occhi e si illudeva di saper ancora respirare. sembrava che i polmoni le esplodessero. e l’aria fredda graffiava la gola. i piedi distruggevano i fili d’erba come in una guerra vinta in partenza. c’erano mille parole che non avrebbe mai detto che si incastravano nello stomaco. stava per vomitarle accompagnate dagli orsetti gommosi della sera prima. e la birra non bastava mai. i capelli le si schiantavano negli occhi mossi dal vento. gomitoli di lana pieni di emozioni. i fulmini che non si facevano fotografare la irritavano. non conoscere bene la punteggiatura, e si fa un overdose di virgole a pennarello indelebile sul polso. -E mi sento terribilmente giù.maliconica. - Forse un po’ anche io. e che i contatti multimediali si stroncano. Joey non poteva nemmeno fingere d’abbracciare lo schermo del computer per mancanza d’affetto. sorrisi amari che le incorniciavano il viso. la notte da quando non le rimboccavano più le coperte non le rimanevano altro che sogni torbidi e incubi terrificanti a farle compagnia."
che poi era più di un anno fa quando Joey stringendo la stilografica imprimeva quelle parole sulla carta ingiallita dal tempo. e quel grigio c’era ancora e piano piano era diventato più denso, ancor più avvolgente. come una stanza senza uscite di sicurezza da cui è impossibile sfuggire. e la virgola sul polso è diventata vera, anche se brucia. a volte, brucia. e le corse con i piedi stanchi lungo la linea bianca, sottile che rompe una strada che tanto non ci passa mai nessuno, di lì. -E mi sento terribilmente giù.maliconica. si ripeteva ancora. e il cielo d'anice dei pomeriggi di primavera. e il cielo alla ciliegia da mangiare con il cucchiaino delle sere di primavera. Joey era triste.